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 Forum Geologia e Paleontologia - Natura Mediterraneo
 PALEONTOLOGIA DEL MEDITERRANEO
 - Una storia che ha avuto inizio 4 milioni di anni fa -
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Inserito il - 04 dicembre 2011 : 10:34:19 Mostra Profilo  Apri la Finestra di Tassonomia




La riserva naturale di Lucciolabella, nel cuore della Val d’Orcia, è nota da tempo per rinvenimenti di resti fossili inglobati nei calanchi scolpiti nei depositi argillosi di origine marina. Durante il Pliocene, infatti, nel momento di massima espansione del Mediterraneo, molte zone della provincia di Siena erano invase dalle acque. In quel periodo, in una Toscana geograficamente ben diversa dall'attuale, le terre emerse erano probabilmente costituite da una moltitudine di isolotti. Questa morfologia, associata ad un clima tropicale, favorì una notevole biodiversità marina, animale e vegetale. Sui fondali del bacino senese, ubicato tra i monti del Chianti e la Val d’Orcia, tra 5,3 e 2,5 milioni di anni fa, si depositarono i sedimenti e i resti degli organismi che vivevano in questo ambiente che, grazie a condizioni eccezionali (ad esempio, l’assenza di ossigeno e/o la rapida mineralizzazione), si sono conservati fossili fino ad oggi. I reperti più spettacolari sono sicuramente gli scheletri di balene e delfini, testimonianze dell’evoluzione di mammiferi marini tra le più importanti a livello mondiale.
Nel 2003, a seguito di segnalazione di rinvenimento fortuito, l’impegno del Gruppo AVIS Mineralogia Paleontologia Scandicci, guidato dal presidente Simone Casati che insieme al dott. Marco Zanaga e agli altri volontari dell’associazione, con costante attenzione collabora con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e le Università di Firenze e Pisa per la salvaguardia, tutela, recupero e valorizzazione dei beni paleontologici, fu premiato dall’eccezionale rinvenimento, in uno dei calanchi della riserva di Lucciolabella, dei resti fossili di un giovane delfino di cui si recuperava quasi per intero il cranio e parte della colonna vertebrale.
Il reperto è stato oggetto di uno studio scientifico coordinato dal dott. Giovanni Bianucci dell’Università di Pisa ed è stato attribuito ad una specie estinta descritta nel 1876 dal naturalista Roberto Lawley con il nome “Delphinus giulii” sulla base di alcuni reperti pliocenici rinvenuti nelle colline pisane.
La relativa completezza del reperto di Lucciolabella ha permesso di attribuire la specie di Lawley ad un nuovo genere di delfinide denominato Etruridelphis (dal latino “Etruria” e “delphis”: delfino della Toscana). Per lo studio del reperto ci si è avvalso anche della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), grazie alla collaborazione dell’Ospedale Santa Maria Nuova di Firenze, mentre il dott. Stefano Claudio Vaiani dell’Università di Bologna ha analizzato i foraminiferi fossili (organismi microscopici dotati di un guscio calcareo) contenuti in una successione stratigrafica di 25 metri, affiorante nell’area del ritrovamento del delfino. L’analisi micropaleontologica ha permesso di stabilire che la carcassa del delfino si depositò circa 4 milioni di anni fa su un fondale marino poco ossigenato al limite esterno della piattaforma continentale.
Dopo le copiose piogge del Dicembre 2010 lo stesso calanco, a monte del ritrovamento iniziale, restituiva nuove testimonianze del medesimo individuo, indagato, prima ancora dello scavo e del recupero, mediante indagine georadar condotta dal gruppo di geofisica del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa (dott. Adriano Ribolini, dott.ssa Monica Bini e prof. Mario Marchisio) in collaborazione con il gruppo di paleontologia dei vertebrati (dott. Giovanni Bianucci e dott.ssa Chiara Tinelli) utilizzando un’antenna da 1600 MHz trascinata sulla superficie di affioramento (1.50 m x 1.40 m) in corrispondenza di 14 transetti longitudinali e 15 transetti trasversali distanti tra loro di 0.10 m. Come è noto il georadar (Ground Penetrating Radar, GPR) è un sistema di indagine non invasiva che si basa sull’invio di impulsi elettromagnetici che vengono
riflessi dalle discontinuità fisiche ed elettriche presenti nel sottosuolo. Diversamente da quanto accade per i siti d’interesse archeologico, questo tipo di prospezione viene scarsamente utilizzata per le ricerche paleontologiche e pochi sono gli studi che gli sono stati dedicati. Lo scopo dell’indagine è stato quindi anche quello di creare un protocollo d’intervento per guidare la ricerca paleontologica e per monitorare le aree potenzialmente fossilifere.
Una volta eseguito lo scavo, condotto sotto la direzione scientifica della Soprintendenza (dott.sse E. Pacciani, M.A. Turchetti) e realizzato principalmente mediante distacco a massello (con camicia di gesso) di blocchi di sedimento, sono stati confrontati i dati geofisici con quelli paleontologici. Nel radargramma, sono emerse alcune riflessioni elettromagnetiche marcatamente visibili a partire dai primi 0.08 m. In corrispondenza del settore S-O/N-O dell’area in esame sono stati scoperti alcuni resti ossei (in particolare vertebre, epifisi vertebrali e frammenti di coste), alcuni dei quali potrebbero essere compatibili con le riflessioni. Su uno dei due blocchi recuperati è stata eseguita una seconda prospezione georadar in laboratorio, prima di procedere all’estrazione delle ossa contenute al suo interno. Anche in questo caso è stata utilizzata un’antenna da 1600 MHZ, trascinata lungo transetti longitudinali e trasversali distanziati tra loro 0.05 m. A seguito della ripulitura del blocco, sono emerse 7 vertebre, 5 epifisi vertebrali e alcuni frammenti di coste. Confrontando i dati geofisici, ottenuti dalla seconda prospezione, con i dati paleontologici, acquisiti a seguito della ripulitura del blocco, è emerso che solo alcune riflessioni potrebbero essere state generate dalle ossa, mentre altre non sarebbero riferibili ad alcun resto fossile. La difficoltà di lettura dei risultati e le discrepanze emerse tra ubicazione dei reperti e anomalie rilevate con il georadar potrebbero essere imputabili alle esigue dimensioni dei resti ossei e/o alla disomogeneità nello spessore di sedimento che ricopriva le ossa che può aver causato un errore nella determinazione della profondità delle aree riflettenti. I risultati delle prove eseguite, ancora in fase di elaborazione, forniranno in tutti i casi dati importanti al fine di ottimizzare la prospezione georadar nell’ambito della paleontologia.
Attualmente i resti del delfino recuperati nella recente campagna di scavo sono ancora parzialmente inglobati nei blocchi di sedimento su cui si sono depositati, preliminarmente consolidati per facilitare le operazioni di scavo e studio. Il lavoro di équipe, che vedrà ancora coinvolti, ciascuno per le proprie competenze, Soprintendenza Archeologica, Università di Pisa e GAMPS, prevede nel prossimo futuro: 1) il completamento dello scavo e restauro del reperto in laboratorio; 2) la documentazione grafica e fotografica delle fasi di preparazione e del reperto; 3) l’elaborazione finale dei dati delle prospezioni geofisiche sul terreno e in laboratorio; 4) lo studio tafonomico (studio degli eventi post mortem) basato sui dati raccolti in situ e in laboratorio durante la preparazione dei blocchi e sulle tracce individuate nelle ossa; 4) la descrizione morfologica delle ossa recentemente scoperte ad integrazione di quella già pubblicata nel 2009.
Il delfino fossile di Lucciolabella, temporaneamente depositato per la ripulitura e il restauro nel deposito attrezzato ubicato a Scandicci (FI), potrà rimanere, dopo il completamento della documentazione e dello studio, nella medesima struttura, accessibile a studiosi ed a un più vasto pubblico. In alternativa, se a Pienza si creeranno le condizioni idonee di sicurezza e conservazione, il reperto potrà essere musealizzato in loco, anche eventualmente attraverso una mostra temporanea, ritornando così dove è rimasto sepolto per quasi 4 milioni di anni.
Riferimenti Bibliografici
Lawley R. (1876), Nuovi studi sopra i pesci ed altri vertebrati fossili delle colline Toscane, 122 pp., Firenze (Tipografia dell’Arte della Stampa).
Bianucci G., Vaiani S. C., Casati S. (2009), A new delphinid record (Odontoceti, Cetacea) from the Early Pliocene of Tuscany (Central Italy): systematics and biostratigraphic considerations, in Neues Jahrbuch für Geologie und Paläontologie, Abhandlungen, 254 (3), pp. 275-292.

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