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tolomea
Utente Senior

Città: San Donà di Piave (VE)


1501 Messaggi
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Inserito il - 11 febbraio 2013 : 15:31:36 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Però! … non sapevo queste cose. Grazie Forest!

Io così sui due piedi, avevo pensato a una derivazione da Marte, a cui il mese di Marzo è dedicato, e pensavo che poteva essere chiamato così, perché questo uccello forse cominciava a comparire più frequentemente in questo mese o, che ne so (… io di volatili so molto poco o niente … ), in questo periodo cominciava i corteggiamenti o qualcosa del genere.
Insomma, pensavo che in qualche modo il nome fosse legato all’inizio della primavera …


Grazie ancora Forest, anche per il link che non conoscevo, e ora userò spessissimo!



tolomea
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bimbol
Utente V.I.P.

Città: castello d'argile
Prov.: Bologna


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Inserito il - 11 febbraio 2013 : 17:45:39 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Ecco, l'hai richiesta e io te la mando
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Perchè tale nome?
209,62 KB

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PAGLIAGA
Utente Super

Città: CREMA
Prov.: Cremona

Regione: Lombardia


13051 Messaggi
Flora e Fauna

Inserito il - 11 febbraio 2013 : 18:28:17 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Interessante questa discussione, grazie a tutti.
io vi mando la foto del Martin Pescatore.
Ciao

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Perchè tale nome?
274,28 KB

Gabriele
Crema ( Cr )

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tolomea
Utente Senior

Città: San Donà di Piave (VE)


1501 Messaggi
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Inserito il - 11 febbraio 2013 : 21:59:15 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Grazie ragazzi, sono bellissime!!!
... e così possiamo guardare "in faccia" le persone di cui stiamo spettegolando ...






tolomea
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red backed shrike
Utente Senior


Città: Albareto
Prov.: Parma

Regione: Emilia Romagna


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Inserito il - 12 febbraio 2013 : 15:13:27 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Etimologia: Barbagianni,deriva dai nomi latini bàrba = barba,peli,e géna = guancia,a causa del disco facciale formato anche da penne setolose.E trae origine dall'antico nome scientifico:Strix flammea.Ove Strix = Civetta nel
latino classico,flammea = color di fiamma,fiamma;ma sembra che quella denominazione sia connessa con flammeata o flameum = velo nuziale che era di
color croceo o giallo,giacchè il Gessner,latinizzando il nome tedesco : Scleyereul,aveva già,prima di Linneo,chiamato il Barbagianni Ulula flammeata,pel cerchio di piume che a modo di velo ne cinge la faccia.(Salvadori,Ibis,1886,pag.377).Ulula = onomatopea dal latino ululare,altri notturnisono stati associati a questo genere da Plinio e Virgilio.
Tyto,origine ignota,forse deriva dal greco: Thùtes = sacerdote,forse per
il fatto di dimorare nei campanili e tetti delle chiese.Alba = bianca ,per il
piumaggio in massima parte bianco e chiaro,dal latino àlbus = bianco.
Per gli inglesi Barn owl = Civetta dei granai,scelti come luogo di nidificazione.Per i tedeschi Scleiereule,scleier = velo,veletta ed è senza dubbio per rimarcare l'innata qualità del suo volo silenzioso.Per gi olandesi
Kerkuil,Civetta delle chiese da Kerk = chiesa.Per i francesi Effraie des clochers, Effraie dall'antico orfraie (15 sec.).Orfraie deriverebbe da Osfraie
e da Ossifraga = che rompe,spezza le ossa.Altri lo associano a Effrayer =
spaventare,per cui l'Effraie sarebbe l'antico Orfraie,cioè uccello spaventoso
che rompe le ossa.Negli scritti di Belon (1555) si trova: Fresaye dal latino
praesago = prevedere,presagire quì inteso come cattivo augurio.Des clochers =dei campanili per la predilezione per questi manufatti isolati e dominanti.
Per gli spagnoli Lechuza = civetta,ma significa anche vecchia strega.
Interessante vero..???
Mi sembra sia abbastanza
Ciao Maurizio

Il dolore è forse ciò che fa più fortemente esprimere gli artisti
-J.F.Millet-
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michimor
Utente Senior


Città: ravenna
Prov.: Ravenna

Regione: Emilia Romagna


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Inserito il - 12 febbraio 2013 : 15:31:56 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
grande Maurizio!!!!
ciao
Moreno

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PAGLIAGA
Utente Super

Città: CREMA
Prov.: Cremona

Regione: Lombardia


13051 Messaggi
Flora e Fauna

Inserito il - 12 febbraio 2013 : 17:41:20 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Sono esterrefatto.
Ciao
Messaggio originario di michimor:

grande Maurizio!!!!
ciao
Moreno

Gabriele
Crema ( Cr )

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bimbol
Utente V.I.P.

Città: castello d'argile
Prov.: Bologna


370 Messaggi
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Inserito il - 12 febbraio 2013 : 20:22:57 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Maurizio mi manca come si dice in Cileno e in Vietnamita e poi son contento

Grazie mille della tua partecipazione

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tolomea
Utente Senior

Città: San Donà di Piave (VE)


1501 Messaggi
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Inserito il - 12 febbraio 2013 : 22:37:10 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Ottimo Maurizio!!!

Credo che col "peloso" barbagianni adesso saremmo proprio a posto!

... se non mancassero ancora all'appello i napoletani ...


tolomea
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gisus
Utente Senior


Città: Cazzago Brabbia
Prov.: Varese

Regione: Lombardia


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Inserito il - 13 febbraio 2013 : 10:24:53 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Visto che l’argomento interessa, qualche considerazione ,senza pretese da linguista :
Non credo ad una derivazione dal latino barba - gena,, per una serie di motivi:
-il nome latino per il barbagianni c’era bell’ e pronto , non si vede per qual motivo si sarebbe dovuto fabbricarne uno latino ex novo quando il latino non lo si parlava più;
-un nome di derivazione latina avrebbe lasciato traccia , se non nelle altre lingue europee, sicuramente nelle altre lingue neolatine, nelle quali invece , la situazione che ho trovato è questa:
Portoghese: Coruja-das-torres (civetta/gufo di torre ) rasga-mortalha (strappa sudario)
Nota che Coruja nell’uso familiare portoghese può essere anche zio/nonno...
Rumeno: Bufni#539;a de hambar (gufo di granaio)
Castigliano : Lechuza (etimologia incerta, forse da latte/lattante)
Francese : Chouette effraie
Occitano: dama blanca (tabuistico)
Provenzale: Buou-l’Holi (bevi olio)
Catalano: oliba
Sardo: istriga ( questo si , dal latino)
Corso: bubbula, strisge, nottula, caccavichjula, malacella bianca

Se interessassero a qualcuno ho trovato queste altre traduzioni di barbagianni:
Link

Quindi, nomi che richiamano la caratteristica di nidificare nei sottotetti/chiese/granai/torri, tabuistici (dama blanca) o legati a superstizioni (quella di bere l’olio delle lampade - pare diffusa anche in Spagna) l’etimologia del nome spagnolo da quel poco che ho visto non è chiarissima, da notturno o da latte/lattante (anche qui superstizioni )

Non vi è traccia di riferimenti piliferi :-) nelle nelle lingue romanze ne in altre lingue;
C’ è invece chi ci spiega (siamo nel 1775) come barbagianni sia voce settentrionale:
Ludovico Antonio Muratori - Antichità italiane – Dissertazioni
Bubo. È voce de’ Toscani. In Lombardia si chiama barbagianni...

A mio modesto parere , le interpretazioni che fanno risalire l’etimologia di B. al latino sono retaggio di un passato in cui le persone istruite ben conoscevano greco e latino , ma ignoravano completamente , oltre naturalmente alla etnologia, le parlate volgari e le lingue preromane, ( in tempi più recenti si sommarono considerazioni di ordine politico )
E’ noto tra l’altro come questo uso di far discendere a forza toponimi/zoonimi da greco e latino abbia spesso prodotto risultati esilaranti (cito solo l’esempio di un paese della mia zona , Golasecca, di cui ancora oggi si legge “E' un composto di gola, in riferimento ad una stretta del Ticino e dell'aggettivo secca che si riferisce all'aspetto delle sue rive” ….gola ???? stretta del Ticino???? Aspetto delle rive???? Nulla di più lontano dalla geografia del posto! ..in realtà si tratta di una italianizzazione storpiata del toponimo dialettale Vuraseca… da vura , guado )
Sulla origine totemica del nome esiste vasta letteratura, nella quale si trova anche motivazione dell’uso di “zio” e di “Giovanni”;
conosco ma non ho trovato in rete :
-I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e le parole perdute, di G. Luigi Beccarla
-Alinei, mario. 1981. “Barbagianni ‘zio Giovanni’ e altri animali-parenti: origine totemica degli zoonimi parentelari”. Quaderni di Semantica 2:363–385.

di quel che ho trovato in rete ho fatto un po’ di copia incolla,spero non mi maledirete:


ciao
gianluigi
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gisus
Utente Senior


Città: Cazzago Brabbia
Prov.: Varese

Regione: Lombardia


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Inserito il - 13 febbraio 2013 : 12:04:52 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia


Allegato: Perchè tale nome? 20130213114455498.pdf
120,07 KB

ciao
gianluigi
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gisus
Utente Senior


Città: Cazzago Brabbia
Prov.: Varese

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Inserito il - 13 febbraio 2013 : 12:10:22 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia


Allegato: Perchè tale nome? 20130213121026239_0001.pdf
73,57 KB

ciao
gianluigi
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gisus
Utente Senior


Città: Cazzago Brabbia
Prov.: Varese

Regione: Lombardia


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Inserito il - 13 febbraio 2013 : 12:11:08 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Origini delle lingue europee Mario Alinei Volume II
4. Ideologia del Paleolitico Superiore
4.1. Totemismo
4.1.1. Animali come parenti in Europa
nomi parentelari attribuiti agli animali sono numerosissimi, non solo nei dialetti europei, dove sono stati studiati da alcuni studiosi, ma anche nelle parlate delle popolazioni etnografiche, dove purtroppo non sono stati mai né raccolti né studiati, nonostante si possa presumere che essi siano ancora più numerosi e, soprattutto, legati a realtà culturali in parte ancora vive.
Il primo ad avere ipotizzato un’origine totemica degli zoonimi parentelari dialettali è stato il linguista austriaco Richard Riegler, «il più grande conoscitore di zoologia e zoonimia popolari» come scrisse Max Leopold Wagner, uno dei più autorevoli romanisti del nostro secolo.
Riegler non solo dedicò moltissimi articoli all'argomento, ma #1089;#1086;mpilò tutti gli articoli riguardanti gli animali selvatici e gli insetti nel monumentale Hadwörterbucb des deutschen Aberglaubens (HWDA) , il più grande dizionario di tradizioni popolari tuttora esistente.
Questi articoli di Riegler sono ancora oggi una fonte preziosissima di informazioni, e meriterebbero una pubblicazione indipendente.
Tuttavia, nonostante l’importanza della tesi di Riegler, e il gran numero delle sue analisi, la linguistica tradizionale ha continuato fino ad oggi a considerare gli zoonimi parentelari come «scherzosi». Forse non soltanto perché a prima vista essi possono sembrare tali a linguisti poco preparati in etn#1086;grafa e antropologia, ma anche perché essi fanno ridere, per primi, gli informatori che ce li dicono quando lavoriamo sul campo.
Tuttavia, questa reazione è facile da capire: il contadino che si trova a confronto con il raccoglitore, venuto dalla citta per studiare il dialetto della zona, non può non sentirsi imbarazzato quando deve dire che la volpe si chiama «zio Giovanni» o «comare Rosa»; né si rende più conto delle vere ragioni che soggiacciono a nomi del genere. Solo in alcune aree particolarmente arretrate d’Europa le credenze popol#1072;r#305; soggiacenti a questi nomi sono rimaste vive fino a qualche tempo fa nella coscienza e nella memoria dei parlanti, e allora è facile arrivare alla spiegazione reale, che illustrerò fra poco ma negli altri casi, sono gli studiosi che dovrebbero scavare sotto la superficie per raggiungere i livelli dove si nascondono i «tesori».
E in effetti, basta una minima conoscenza dei mondo etnografico per stabilire alcuni punti fermi nei riguardi degli zoonimi parentelari.
Ecco alcuni fatti essenziali.
(1) I nomi parentelari dati agli animali appartengono alla vastissima e comunissima classe generale dei nomi detti «noa», cioè quelli adottati per n#1086;n nominare il nome vero dell’animale, protetto da tabù.
(2) Fino a pochi decenni fa, nelle aree rurali più conservative d'Europa (per es. Sicilia, Irlanda) si svolgevano veri e propri «riti di comparatico» con certi animali, per farli diventare propri parenti, ingraziarseli e ottenerne favori per sé e per la propria famiglia.
Analogamente, si allevavano e nutrivano in casa serpi, gechi e altri animali, con l’intento di farne il protettore della famiglia.
A. questi animali si davano spesso nomi di parenti o di «geni domestici», cioè custodi della casa e della famiglia.
(3) Le fiabe e le filastrocche infantili preservano meglio di qualunque altra forma popolare le tracce di un rapporto parentelare, e quindi totemico, fra animale e «eroe», e la fiabistica moderna, a cominciare da Vladimir Propp, ha riconosciuto il carattere arcaico e specifica mente totemico di questo rapporto. Ho già ricordato il titolo di una delle più famose raccolte di fiabe europee, Ma mère l’oie «mamma l'oca»; posso menzionare la mamm#1072;dr#1072;g#1072; «mamma serpente» della fabistica siciliana, che nelle fiabe è definita esplicitamente come una vera e propria madre-serpente per l'eroina.
(4) Nelle stesse aree in cui gli animali mostrano questi nomi parentelari appaiono altri nomi magico-religiosi, di tipo tabuistico (come «innominabile», «senza nome», «bestia», «brutta», e simili), di origine «pagana popolare» (come «folletto», «strega», «fata», «diavolo», «genio domestico» e simli, o mitologica (come Diana, Nettuno, Laume, Ukko, #1058;iermes e simili), oltre che dalle religioni storiche, cristiana o musulmana.
Questa stratigrafia conferma il carattere «sacrale degli animali, e dei loro nomi, e smentisce il loro carattere scherzoso.
(5) Nelle società etnografiche questi nomi parentelari hanno tuttora una valenza totemica.
L’idea che l'Europa sia diversa dagli altri continenti, alla radice di molte interpretazioni sui generis, non può essere presa sul serio.
A parte il legittimo sospetto di razzismo, non si vede come e dove si possa stabilire un confine culturale fra Europa e Asia, o fra Europa e Africa: non solo le fiabe sono le stesse in tutto il mondo, ma le leggende e le mitologie popolari imperniate sugli animali, che sopravvivono nelle aree marginali europee, sia a nord che a sud, si continuano in modo del tutto naturale in Asia e in Africa, dove il toteismo tuttora attestato come religione e come sistema classificatorio.
Basti pensare al culto totemico dell’orso documentato e ben studiato nella Siberia, agli animali-totem egiziani e ai culti totemici delle popolazioni etnografiche africane, degli Aborigeni australiani, e degli Indiani americani. Evidentemente, nelle aree europee si tratta di relitti, mentre negli altri continenti si tratta di sistemi culturali in piccola parte sopravvissuti alla disgregazione delle società e dell’ideologia totemica.
L#1072; recente ricerca sul campo del linguista zairese #1058;shimanga Kutangidiku, diretta da Michel Contini dell'Università Stendhal di Grenoble, ha provato la validità della teoria per l’area dei Bantù [Kutangidiku 1995].
(6) Gli storici delle religioni ipotizzano che aspetti di totemismo sopravvivano ancora nel Neolitico, dopo la scoperta dell’agricoltura e della pastorizia, e che solo coll’età dei metalli, quando la società egualitaria dei millenni precedenti si trasforma in società stratificata e nascono le divinità antropomorfe, esso cominci a scomparire del tutto.
Essi ci dicono anche, tuttavia, che le ideologie sopravvivono a lungo alle strutture che le hanno generate, e che non a caso la mitologia classica e in alcuni casi perfino le religioni storiche conoscono figure di divinità con attributi animaleschi, o metà esseri umani e metà animali, o semplicemente associati con un animale.
Basti ricordare, per il Cristianesimo, le corna del diavolo e le ali dell’angelo, «relitti» di miti ben più arcaici.
Nulla strano dunque che anche in Europa relitti di totemismo siano rimasti congelati nei nomi di animali e dei fenomeni della natura ad essi un tempo associati. Come ho spiegato, l’emarginazione e la stagnazione culturale dei ceti subalterni rurali, susseguite alla stratificazione sociale, potrebbero aver permesso un’ulteriore conservazione di tali relitti fino ad oggi, mentre l’evoluzione continua dei ceti urbani ne avrebbe causato la scomparsa totale nelle loro parlate e nella loro cultura.
Per un rapido sommario dei risultati delle mie ricerche, comincio ora con le popolazioni etnografiche (non riassumo tuttavia la succitata ricerca di Kutangidiku, ancora inedita).
In Birmania sono attestati woi «nonna» per la scimmia, e wa «padre» per il maiale, yu «parente matrilineare o sororale» per il ratto (oltre che «magia»);
in India settentrionale i nomi dello «zio materno» per il serpente;
in Amman, del«nonno» per la tigre, l’elefante e altri animali selvatici;
in Africa, «nostro vecchio nonno» per il camaleonte, totem degli Herero, «antenato» per un uccello, totem dei Temne, «padre» per l'elefante, totem dei F#1072;ng del Congo.
In Madagascar il più grande lemure dell’isola, si chiama babakoto, cioè «babbo koto».
Nessuno osa ucciderlo e tanto meno mangiarlo, ed è considerato l’antenato del clan o della famiglia allargata [Ruud 1960, 99].
Di particolare importanza è la documentazione vietnamita. Nelle aree più isolate del Vietnam, sulle montagne e nella giungla, i nomi degli animali vengono tabuizzati in speciali circostanze, non solo durante la, caccia (come ovunque in Europa, perfino nell’aristocratica caccia alla volpe!), ma anche durante la cottura, il pasto e così via.
Viene allora utilizzato un nomignolo, e questo nomignolo è spesso un nome parentelare, come «zio» e «nonno», seguito da un gioco di parole o da un termine che descrive l’animale.
Nel corso del tempo, il nome parentelare viene abbreviato, per cui molti zoonimi finiscono per cominciare con la stessa sillaba.
Il nome normale viene dimenticato, e il nuovo nomignolo diventa quello comune.Come tale, dev’essere a sua volta evitato, e il processo ricomincia [Alinei 1993b in st. d].
Accenni a un processo analogo si trovano nella ricca letteratura sul tabù linguistico [Zelenin 1929-1930; Riegler 1936-1937; Ronfante 1939; Havers 1946; Emeneau 1948; Small-Stocki 1950; Treimer 1954-1955; Mansur Guérios 1956; #1053;egedüs 1958; Ruud 1960; Leach 1964; Alinei 1986; 1993b].

Per niente studiata per questi aspetti, pur essendo una delle più interessanti e produttive, è l’area europea e eurasiatica di quelle popolazioni uraliche e altaiche che fino a qualche decennio fa vivevano ancora di caccia e raccolta.
Mi limito a menzionare quanto ho raccolto da una prima scorsa all’eccellente dizionario del Mansi (Vogulo) di . Munkácsin Kálmán [1986]: uj-#257;#324;#347; «animale padre, vecchio» > «orso» [ibidem, 41]; a#324;#347;u#967; «vecchio, zio, marito» > «orso» [ibidem,42]; #257;k#279;m-a#324;šu#967; «zio, padre del cognato» «orso» (usato dalle donne) [ibidem, 27, 42]; #257;kar «zio, padre del cognato ecc.» > «cane (domestico o per la, custodia delle mandrie delle renne)» [ibidem, 27]; #333;pä «nonno» > «orso», e #333;pä a#324;#347;u#967; «nonno paterno» «orso» [ibidem, 42]; s(o)s-a#324;šu#967; «animale padre» «alce» [ibidem, 42, 580].
Di eccezionale importanza sono i nomi «divini» dell’orso, talvolta uniti a quelli parentelari, che confermano il carattere sacro, e quindi totemico, degli attributi parentelari: t#333;r#601;m «cielo, dio, tempo, mondo», t#333;r#601;m a#324;šu#967; «dio il vecchio», da cui t#333;r#601;m-uj «animale di dio, celeste» «orso», t#333;r#601;m-#257;yi «figlia di dio, figlia del cielo» > «orsa» [ibidem, 658-659]; käm(#279; #951; nai p(#363; , #347;op(#279; r nai p(#363; «figlio della signora K./della signora S.» (essere mitologico)», ipocoristico per l’orso [ibidem, 189, 324, 438, 600]; t#257;re#951; e varianti «orso» (usato dagli uom#305;ni ), t. a#324;šu#967; «idem» [ibidem, 630, 662];
pupakw#279;, collegato a pupa «idolo», nome dell orso (usato dalle donne) [ibidem, 482], pup- a#324;#347;u#967; «vecchio dell'idolo», nome dell’orso (usato dalle donne) [ibidem, 482].

In area uralica europea:
estonia metsa-onu o metsa-lell «zio del bosco» per il lupo,
finlandese ukko «nonno» per l’orso,
ungherese dialettale komàm «compare» per il lupo,
meny, menyét, menyétasszony per la donnola;
mordvino E. doro baba «spada + vecchia», komi (sirieno) pe#263;e gag «nonna-insetto», udmurto (votiaco) #269;užanaj papa «nonna (materna) uccello» per la coccinella;
komi (sirieno) vežan’ gag «madrina» per la coccinella; in tutta l'area uralica «padre» e «nonno» per la farfalla [Confini in st.].
In area altaica:
il nome turcico aba e varianti «antenato, padre, zio paterno» diventa «orso» in Karaciai, Sagaico, Kacia, Koibalico e Ciuvascio [Räsänen 1969, 1];
nei dialetti turcichi orientali anche il mongolo a#269;i «fratello, cugino, nipote» diventa «orso» [ibidem, 3-4];
turcico gelincik «sposina» è il nome della donnola;
baschiro e tataro kamká «madre» della coccinella;
calmucco yjn «cugino, padrino» della «donnola».

Naturalmente, i dati europei sono meno trasparenti ed «etnologici» e più «fossilizzati», m#1072; non per questo meno importanti. Ecco un elenco dei tipi più frequenti, che inizia con l’area italiana, che è quella che ho meglio studiato, e forse una delle più rappresentative in Europa, con quella slava e tedesca.
In Italia settentrionale: barbagianni (entrato nel lessico italiano), e numerose varianti dialettali, «zio Gianni», sia per il «barbagianni» che per altri uccelli Strigidae, nonché per l’insetto della frutta e per il bruco (val d’Antrona), barba cion «zio maiale» (Poschiavo ), landina («zietta», da voce parallela al latino amita «zia») per la capra (Peccia, Vallemaggia ), amia («zia» ) #1057;atarina per a volpe (Poschiavo ), barba Piero in gran parte dell’Italia settentrionale per il rigogolo, uccello magicamente legato all’arcobaleno e all’itterizia, in piemontese compare pe-reu e barba perou per il rigogolo, barbaperu a Calizzano in Liguria per lo scricciolo, nel Padovano compare Piero, veneziano compareto «verme del legno », zia Maria in Val di Non per la coccinella, in Emilia vecchia per lo scarafaggio, nel vicentino e nel veronese vecchia per il bruco; romagnolo lola (da voce corrispondente al latino avula con concrezione dell’articolo) per il rospo e per la coccinella, Valsugana e Rizzano in Belvedere lolo per larve e vermi; in altri dialetti per svariati animali.
Nel Friuli agne uarbe «zia orba» per l'orbettino, magne «mia zia» per la serpe, allattata e nutrita in casa, e personaggio centrale delle fiabe e delle leggende friulane; compare piero per il rigogolo.
A questi nomi si può aggiungere l’italiano martora e varianti dialettali, che ho interpretato come prestito settentrionale derivato da voci corrispondenti al latino matertera «zia materna» [Alinei 198 b; 1986].
In Italia centrale pisano nonna, per diversi uccelli; amiatino mamma pelosa «bruco», zia monaca, zia Maria per la coccinella e per la mantide; in Lazio madre rospo ad Acqua-pendente; ciumaca («zia lumaca», con palatalizzazione di l- ) a Sant’Oreste, Nemi, Palombara Sabina, nel Lazio;
«zio Pie- (Torrone Sannio), zi «zio» (Grottammare), zi rè «zio re» (Santa Francesca di Veroli ), zarella «zia reginella» (Montelusco), zaretta (Nemi), tutti in Italia centrale, per lo scricciolo, altro uccello magico per eccellenza.

In Italia meridionale: mammaruga «mamma ruca» e ciammaruca o ciammaruga «mia zia ruca» per il bruco e la chiocciola; in Abruzzo ciaruch#601; «lumaca», «zio Pietro» per il fringuello e il pettirosso, «zia volarella» e varianti per la farfalla, ziprit#601; «zio prete» per il grillotalpa; «zia carogna» per la «civetta» (Mangone) e íl gufo (Serrastretta); ad Acquaformosa comaruccia per la coccinella; in Salento jermano «fratello» per il passero; in Calabria: zi Dominicu per il rospo, vecchia e varianti per il ragno, za Laura, za Lavura, zu Cola, zi Nicola per il lupo, zu Filippo per la lepre, za Rosa, zi Rosa, cummari Rosa per la volpe; mamma i serpi per l’onisco; in Calabria e Campania comarella per la «donnola».
In Sicilia cummari Giovannuzza, cummari Giovannedda per la volpe; raia#61628;#61628;zza «zia draga» in Sicilia, essere immaginario per impaurire i bambini, parente della mammadraga delle favole siciliane (v, oltre); mammatessi, mammakatessi «mamma che tesse» per la farfalla [Contini in st.].
In Sardegna: zia Rosa per la coccinella., tilikerta, tsilikerta e varianti, forse «zia lucertola», mammraruga «bruco», nonna e mele cioè «del miele», per la donnola, compare e comare Giommaria per la volpe, comare Anna e maramele («madre del miele») per la donnola, mamm’e terra «lombrico e centogambe», mamma gravida per la cavalletta, mamma e frittu «del freddo» per la mantide (viene il freddo, la febbre, a chi la uccide), e#61628;#61628;kompare, e komare gro per la volpe.
In Francia compèree-loriot «rigogolo», compère quette-grise «compare zampa grigia» per il lupo, compere renard «compare volpe», mon cousin per la volpe, parent per il cuculo, ma commère Margot per la gazza, grand-mère per il ragno (Normandia), «nonno» e «vecchio» per il lupo presso gli zingari francesi (Victor Hugo); grand-père sauteur «nonno saltatore», cousin «cugino» per la cavalletta, mariée per la cavalletta, mon cousin per la volpe in Bretagna; «compare» e «comaruccia» per a donnola in Francia meridionale.
In Spagna comadreja per la donnola.
In Portogallo norinha «nuora» per la donnola.
In Retoromanzo mammadonna «nonna» per la farfalla.

In Germania vadermann «padrino» per il lupo e per la volpe nel Mecklenburg, gevatterle «comparuccio» per la donnola #305;n Slesia, basso tedesco vaddermann voss «compare volpe», o herr gevatter «signor compare» per la volpe, tedesco dialettale gross-mudder «nonna» per il rospo, grossvaderpocb «nonno rospo», vadderdutz «padre rospo»; basso tedesco grootmööm «nonna» e muddermöömk «nonnina» per il rospo; tirolese n#257;dl «nonna ava» per il rospo; basso tedesco mäumken «zietta», «nonnina», watermööm «zia, nonna d'acqua», tedesco müemelein per il rospo ululone, basso tedesco bruder Martin «fratello Martino» per la lepre, unkel diskstart «zio coda grossa» per la volpe, schusterähnel «zia del calzolaio» per la coccinella.
In Svezia «nonno dorato» (gullgubbe) per la coccinella, «nonno» per l’Orso, «fratello Lars» per la foca, «nonno» per l’Orso anche in norvegese e lappone; danese brud «sposina» per la donnola.
In area slava; ceco babka «nonnina» per la femmina del cervo volante, bulgaro baba metsa «nonna Orso», polacco babka «cervo volante», russo babo#269;ka «nonnina» per la farfalla, ucraino djadko «zietto» per il «lupo», vujko «zio» per l’Orso presso gli Huculi della Carpazía; staryi «vecchio» per l’orso, serbo kuma «comare» per la donnola, russo kumanek «comparetto» per il lupo e per l’Orso; serbo nevjestica, bulgaro nevestulka ( > rumeno nev#259;stúic#259;) per la donnola, serbo baka, polacco balka e russo baba «nonna» per la coccinella; nell’area slava orientale la farfalla si chiama «nonna»; in russo la coccinella sí chiama korovka matuška «madre-vacca» e in bielorusso matrunka «diminutivo di madre».
In area baltica lituano di#275;das «mosuco <{coniare» e lituano mosza «cognata» per a donnola, snots «genero» per il lupo.
In Grecia sindèknisa «comare», nifítsa «mamìtsa «nonna» per la coccinella.
In Albania vitore «vecchia» per il serpente allevato in casa; nusëz «cognata» per la donnola.; buba dajes
A Malta la coccinella si chiana nannacola «<="" p="">
Sui nomi pare#1087;telari della donnola torno qui sotto più dettagliatamente.
Tutti questi nomi ci riportano allo stesso periodo (Paleolitico Medio e Superiore) nel quale abbiamo proiettato il rapporto fra animali e parenti, così poco documentato nelle lingue antiche, per definizione elitarie e sempre soggette al rinnovamento culturale.

4.1.2. Un caso embleratico; la donnola come «parente» in Eu ropa e in Nord Africa
Un esempio particolarmente interessante di animale che presenta svariati nomi «totemici» in Europa e fuori d’Europa è quello della donnola, a cui ho dedicato un ampio studio e una carta nell’ambito dell’Atlas Linguarum Europae [Alinei 1986].
Anzitutto, i nomi europei della donnola sono molto rappresentativi della tipologia del tabù linguistico per gli animali, oltre che della stratigrafia magico-religiosa.
I nomi originari tabuizzati vengono sostituiti con nomi propiziatori come «bella» (fr. belette, corso e italiano dialettale bellola, friulano bilite, italiano dial. bella donna, albanese bukël, bretone kaerell, occitano polida, danese den kønne, bulgaro bubavi#269;ka, basco anddereder(r)a ecc.), «cara, buona» ecc. (panslavo laska, lasica, lasi#269;ka ecc., neo greco kalí k'irá),«donna, dama» (portoghese doninha, galiziano doniña, occitano daunabera, italiano donnola, polacco pani #322;aska, ecc.), «zarina» (macedone careva nevestulka), o esorcistici, come «innominabile» (tataro numnegir, bulgaro dialettale bezimelec), italiano dialettale la brutta e la bella.
Strettamente connessi con questa tipologia tabuistici, e di notevole interesse storico-culturale, sono poi nomi magico-religiosi precristiani come «fata» (inglese dialettale fairy, sardo diana di muro), «strega» (basco erbiunida, francese dialettale voudotte), «genio domestico» (russo dialettale domovoj), «spirito della terra» (careliano muanhard#301; tutti indicativi di un antico culto degli animali.
Anche i curiosi nomi del tipo «pane e cacio» (spagnolo paniguesa, catalano paniquera, occitano panquesa, italiano dialettale panecacio ) «pane e latte» (occitano panlet ), «casseruola» (spagnolo cazoleira) e simili, sono stati ricondotti, come vedremo, ad antichi riti #1088;ropiziatori.
#1057;ome accade per tutti gli animali selvatici in genere, anche per la donnola non solo i nomi magico-religiosi, ma anche quelli parentelari, sono estremamente numerosi in tutta l’area europea. Il loro interesse, rispetto agli altri, sta nel fatto che al loro studio, in particolare quelli romanzi, si sono avvicendati alcuni dei più grandi nomi della romanistica, ed e quindi. particolarmente istruttivo ricostruirne le tappe fondamentali. Li concentrerò prima sul nome spagnolo e occitano della donnola, cioè comadreja e comairela «piccola comare».
Questo nome ritorna anche in alcuni dialetti italiani centromeridionali - nel tipo comarella - ma è sull’area franco-iberica che la ricerca si è concentrata. Già il grande romanista spagnolo Menendez Pidal aveva notato che l’area di comadreja e comairela viene divisa in due da un altro nome spagnolo della donnola, anch’esso molto interessante paniguesa «pane e cacio». Aveva dimostrato che l’area del tipo «comare» doveva essere più antica di quella di «pane e cacio», dato che la prima s’incunea nella seconda e la divide.
La cronologia relativa è dunque chiara. Egli, tuttavia, non affrontò il problema della datazione assoluta se i1 tipo «pane e cacio» è più recente di quello «comare», a quando risale il primo, e a quando il secondo?
Per fortuna ci aiuta la ricerca sul tipo «pane e cacio», la cui storia e illuminante. Prima, linguisti illustri come Schuchardt e Spitzer avevano interpretato «pane e cacio» come una semplice metafora basata sui colori bianco e marrone della donnola. Il passo in avanti decisivo viene fatto da S#1089;h#1086;tt e da Rohlfs, che scoprono che «pane e cacio» è anche il nome di svariati animali e animaletti, i cui colori sono ben diversi da quelli della donnola.
Rohlfs, inoltre, scopre che «pane e cacio» è una delle molte offerte che i bambini fanno alla donnola e ad altri animali per ingraziarseli o per chiedere un favore, nelle loro arcaiche filastrocche [Alinei e Barros Ferreira 1986]. Infine Bambeck scopre che proprio entro l’area del nome, cioè nella Galizia, il vescovo di Braga Martino, nel VI secolo della nostra era, poteva ancora inveire contro i contadini del suo tempo che si ostinavano a fare offerte, anche di pane, ad animali e ad insetti.
Quindi «pane e cacio» è un evidente nome pagano». Ma allora, se così stanco le cose, a che epoca risale il tipo «comare», che come abbiamo visto dev’essere ancora più antico?
La ricerca romanza non si pone problemi simili, perché ancora oggi, come abbiamo visto, considererebbe il tipo «comare» come «scherzoso» , e quindi recentissimo, in totale contrasto con le conclusioni già raggiunte da Menendez Pidal.

Quanto agli altri nomi parentelari, la carta paneuropea dell'ALE dimostra la loro vasta diffusione in tutta l’Europa meridionale: abbiamo già visto che il tipo latino *cummat#1077;r e diminutivi appare Galizia, Spagna, Francia meridionale e Italia centro-meridionale, ora lo troviamo, come prestito o come forma indipendente, anche in serbo croato kuma#269;ica, in neo greco sindéknisa, in bulgaro k#1072;lim#1072;nk#1072;. La donnola appare poi coi nome di «nuora» portoghrse nurinha e ungherese menyét e varianti, come «sposina» in danese dialettale brud, tedesco dialettale bräutchen, albanese nuse e varianti, in neogreco nifítza, italiano dialettale zitola, da zita «sposa, sposina, ragazza da marito», bulgaro, macedone, serbo croato, ucraino (e di qui in rumeno e moldavo) nevestica e varianti, bulgaro bulka, come «nuora, sposina» in turco e gagauso gelin, come «zia» in tedesco dialettale muhme, come «cugino» in calmucco yjn.
Inoltre, tipi simili si trovano perfino in Nord Africa, sia in area araba (arabo cirsah «sposina») che berbera.
Di fatto, si tratta di un’isoglossa motivazionale ininterrotta, dall’Atlantico al Mediterraneo e al mar Nero, che comprende anche la sponda meridionale del Mediterraneo, parti dell’Europa centrale e nord-centrale e parti dell’Asia Minore.
Che cosa significa un’area di diffusione di questa estensione per il nostro problema della datazione assoluta?
Ovviamente, non può trattarsi di una diffusione recente, dato che comprende gruppi linguistici totalmente in-dipendenti, cioè Indoeuropei, Turcichi, Uralici, Arabi e Berberi.

Non a caso, troviamo svariati miti antropomorfi della donnola nella mitologia classica, soprattutto in quella greca, e moltissimi documenti del suo ruolo nella mitologia popolare europea, in particolare quella finnica [ ako 1956].
Decisiva, per il problema della datazione, è poi l'evidenza ungherese.
L’ungherese menyét «donnola», come abbiamo visto, significa in origine «nuora». Ma il nome antico unghesese della donnola era hölgy, helgy (preservato nei dialetti rumeni, dove è entrato come prestito), che in ungherese è divenuto «sposina, signora».
Proprio il contrario di quello che è avvenuto in area latina, dove il nome della «signora», domina, è diventato quello della donnola (donna + -ola).
Questo nome ungherese hölgy, tuttavia, fa parte di un gruppo di antroponimi, nella maggior parte di origine turca, che gli studiosi ungheresi sono concordi nel considerare antichissimi e di origine totemica [Kálmán 1978, 36, 40, 43; Gombocz 1973, 106]: si tratta di nomi come Kus «falcone», Karcsa «poiana», Kartal «aquila», Torontál «falco», Turul, Turol, Turony «poiana, falcone», Zongor o Csongor «poiana», Arszlan «leone», Barsz «pantera», Kaplon «tigre», Kurd «lupo», Tege o Teke «ariete», Gyalán o Gylán «serpente», Aktaj «cavallo bianco», Karakus «falcone nero» Akkus «falcone bianco», Kücsbarsz «pantera forte», Alattyán «falcone eroico», Thonuzoba «padre-cinghiale», Farkas «lupo», Karoldu «donnola nera», Saroldu «donnola bianca», Nyesta o Nyeste «faina», Hölgyasszony «ermellino femmina» e molti altri.
Perché un’iterpretazione totemica per questi antroponimi?
Per due ragioni: anzitutto perché ad essa porta inevitabilmente la più antica cronaca ungherese, quella del cosiddetto Anonimo, che concerne le origini della famiglia di Árpád, il leggendario eroe fondatore ungherese, che condusse le tribù ungheresi al bacino del Danubio a del Tisza, attraverso i Carpati del Nord Est.
La cronaca racconta di come un turul, la mitica aquila degli antichi ungheresi, si accoppiò con Emese, (dal Turco eme «madre, animale femmina»), la nonna di Árpád, mentre questa dormiva.
Il frutto di questa unione fu Almos, padre di Árpád.
Inoltre, gli studiosi ungheresi devono necessariamente proiettare gli antroponimi di origine turca nell’epoca dei contatti dell’etnia ungherese con i popoli altaici, cioè nella preistoria.
Ecco dunque che sulla base dei due punti fermi forniti dai tipo neolatino e dal tipo ungherese possiamo datare ipoteticamente questo mito totemico paneuropeo e nordafricano della donnola per lo meno Paleolitico Superiore. Se questa datazione è giusta, dovremmo constatare che almeno in buona parte l’area era già linguisticamente differenziata: ciò che ricostruiamo all’apice della sequenza (o dell’albero è infatti un mito, non una forma).
4.1.3. Sopravvivenze di riti e di miti nei nomi europei della coccinella
Nell’ambito dell’ALE, e con la dialettologa portoghese Manuela Barros Ferreira, ho studiato anche la ricchissima tipologia onomasiologica europea della coccinella.
Insieme, abbiamo classificato quasi un migliaio di nomi, ottenuti dalle inchieste per la rete dell’ALE di 2.600 punti: più di un nome diverso per ogni 3 punti!
È naturalmente impossibile condensare in poche righe le oltre cento pagine di commento, per le tre carte dialettali paneuropee in cui abbiamo dovuto suddividere i materiali.
Fondamentalmente, la tipologia motivazionale dei nomi della coccinella ripete quella della donnola, ma aggiunge un vastissimo strato cristiano o mussulmano, che è molto raro, anzi quasi assente, nei nomi della donnola, senza dubbio a causa della sua pericolosità per il contadino.
Inoltre, a differenza della donnola, la coccinella non figura nella mitologia classica e popolare, ma si lascia paragonare con un altro coleottero, lo scarabeo, oggetto di culto nella religione egiziana. Fra l'altro, il simbolo egiziano dello scarabeo con il disco solare fra le zampe, modellato sullo scarabeo stercoraro, ritorna in alcuni nomi della coccinella, del tipo «mangiasole» (galiziano papasol).
L’interesse precipuo della ricerca sui nomi europei della coccinella non sta dunque tanto nei nomi, che a parte la maggiore frequenza ripetono per lo più quelli degli altri animali, quanto nelle filastrocche infantili dedicate all’insetto, diffuse in tutta Europa, che abbiamo interpretato, con l’ausilio della metodologia di Vladimir Propp, come relitti di riti e miti antichi.

Con questa metodologia, abbiamo potuto analizzare e classificare le centinaia di nomi della coccinella ragruppandoli nelle poche categorie strutturali individuate da Propp: l’«eroe» (il bambino-officiante), che invita l’animale assistente» (la coccinella) a volare per raggiungere un «donatore» lontano, e ottenere da lui un «dono».
Nei nomi della coccinella appaiono quindi l’invito a viaggiare («vola vola» ), la destinazione del viaggio (il cielo, il paradiso, Roma, la chiesa in area cristiana, la moschea in area mussulmana), il donatore lontano (Dio, la Madonna, una sterminata serie di santi e sante e il pope in area cristiana, Allah e la figlia di Allah in area mussulmana, il re, la regina ed altri donatori ovunque), il dono (le nozze, il denaro, la chiave per avere figli, la felicità, nonché bestiame, cavalli, galline, cibo, scarpine, vestiti ecc.).
In tutte le aree europee la coccinella si associa poi con miti locali: in area finnica, assiste il potente dio celeste Ukko, o si identifica con Lemminkäinen, uno dei personaggi del Kalevala. In Frisone, prende le vesti dell’elfo o folletto nord-germanico occidentale Puken (cfr. inglese Puck); in Italia meridionale diventa il folletto Monachello, mentre in Nord Italia può essere un’Ondina. In Romania è associata a Paparuga, un essere mitico femminile che sta di solito al centro di riti rurali di fertilità. Appare come «strega» o come «indovina» in Italia, Ucraina e Romania.
In Grecia si associa a niente di meno che la Moira.
Se insomma si vuole uno spaccato del primo «universo religioso» di Homo religiosus, così come esso è nato probabilmente nel Musteriano, si è sviluppato nel Paleolitico Superiore, e si è preservato nel complesso di credenze sincretistiche dei ceti rurali europei attraverso il Neolitico e le successive ideologie postneolitiche, la coccinella, le sue canzoncine e i suoi nomi offrono una delle illustrazioni più ricche, articolate e trasparenti fino ad oggi disponibili.
Naturalmente, anche la coccinella viene identificata con i parenti: senza ripetere le forme date qui sopra, ricordo che essa appare come «nonna» o «vecchia» in Grecia, in area slava, in Svezia, in Mordvino, in Udmurto, in Komi, in Tataro, come «madre» in Rumeno, sardo, in area slava, come «zia» in Italia e in area germanica, come «zio materno» in Albania, come «nonno» o «vecchio» in Svedese, Komi, siciliano, Udmurto, come «comare» e «suocera» in Zigano, come «sposa» o «fidanzata» in Polonia, Albania, Italia, Macedonia, Turchia.
Nel caso della coccinella, la coincidenza del parente con la funzione del «donatore» dà maggiore concretezza funzionale all'interpretazione totemica.

4.1.4. L'arcobaleno come animale e come «bevitore» nei dialetti d Europa
La carta europea dei nomi dell’arcobaleno è stata la prima che ho realizzato per l’ALE [Alinei 1981b, c; 1983b; 1984b, ci, 1992e], ed è quella che ha inaugurato la serie di carte motivazionali, la più saliente innovazione metodologica del progetto.
Essa è stata anche la prima che ha mostrato la fondamentale tripartizione stratigrafica:
(A) strato recente, antropomorfico storico, con nomi di entità cristiane e mussulmane (Dio, Noè, S. Maria, vergine, Nostra Signora, S. Martino, S. Giovanni, S. Bernardo, S. Michele, S. Bernabeo, S. Dionigi, S. Marco, aureola dei santi, grazia, ecc. in area cristiana; Allah, ponte Sirat (simbolo di perfezione morale) in area mussulmana);
(B) strato intermedio, antropomorfico preistorico, con nomi di entità antropomorfe locali, precristiane maschili (Ukko, il Vecchio, il dio del tuono, Tiermes, Tängri, Soslan, gigante, arma (di un dio)), e femminili (Iris, Laume, Mariolle, Nerandzula, la Vecchia, la signora, ragazza lunga ecc.), fra queste figure, «la vecchia» è quella che ha la distribuzione più vasta: portoghese arco da velha, spagnolo arco da vella «arco della vecchia», albanese in Italia brezi pjakavet, moldavo bryul babei, neogreco tis gras to lurí, serbo croato babin lub, tutti «cintura della vecchia», turco ebe kušag#953; «cintura della levatrice», nogai qurt-qašiq «vecchietta», calmucco dohl#951;g (e)mgn «vecchia zoppa»; e
(C) lo strato più antico, totemico, con nomi di rappresentazioni zoomorfe: italiano (arco)baleno da balena, italiano dialettale drago, serbo croato dialettale alždaja, albanese ylber tutti «drago», bilorusso smok, lituano smãkas «serpente», lettone delv#275;rdze «ventre verde», tedesco in Italia regenwurm «lombrico», slovencino mavrica «vacca nera», komi öškamöška «un bue e una vacca» e ienöš jenöška «bue di Dio», calmucco g «donnola gialla», lituano straubl#7929;s «proboscide», basco ortzederra#61676;sol «corna (di bue)», Zachur (nord-caucasico) /han'ewur/ «intestino del cielo», Khvarsci (nord-caucasico) /zar'us æšu/ «cintura della volpe» e molti altri.
Sia nel caso dei nomi cristiani/islamici che di quelli pagani l’arcobaleno è un semplice attributo di una divinità antropomorfica. Mentre nelle rappresentazioni zoomorfiche – ricostruibili grazie anche al folclore europeo (v. oltre) - l'arcobaleno si identifica con un animale gigantesco, che beve l’acqua della terra e la restituisce in forma di pioggia.
In genere, le rappresentazioni zoomorfiche dei fenomeni atmosferici si spiegano ipotizzando un’influenza dei Bestiari medievali [per es. DEI, s.v. dragone]. È però difficile immaginare come ai servi della gleba medievali, per definizione analfabeti, fosse dato avvicinarsi ai Bestiari dell’epoca, opere di origine dotta. Inoltre, il bestiario mitico contadino non ha niente a che fare coi Bestiari medievali, ma si collega con la tradizione orale espressa dalla fiabistica. E in questa grande tradizione fiabistica gli animali non rappresentano una ramificazione dei Bestiari medievali, bensì, al contrario, ne sono l'antefatto.
A confermare l'antichità del fenomeno si possono ricordare due cose: da un lato, la ricchissima mitologia dell’arco-baleno presso le popolazioni etnografiche: il più noto esempio, e uno dei più calzanti per la tipologia che abbiamo visto, è il mito del serpente-arcobaleno degli Aborigeni australiani, sul quale esiste una vasta letteratura [Buchler e Maddock 1978]. Anche in Cinese, l’ideogramma dell’arcobaleno si basa sul radicale per «verme» [com. pers. di William S.Y. Wang, della Stanford University], e l’arcobaleno torna anche nella rappresentazione dell’ideogramma per il «sifone», ciò che conferma che anche in Cinese esisteva la concezione dell'arcobaleno come «pompa», che aspirava l’acqua dalla terra per restituirla in forma di pioggia.
Alle stesse rappresentazioni zoomorfiche si legano anche i nomi europei dell'arcobaleno basati sulla motivazione del «bere», attestati in quasi tutta l'Europa. Vediamo questo aspetto più in dettaglio, anche per i suoi aspetti cronologici. La rappresentazione dell’arcobaleno come bevitore, che pompa l'acqua del mare e della terra per riprodurla sotto forma di pioggia, è comunissima in tutta Europa: per esempio italiano arco bevente, rumeno curcub#7865;u, ungherese szivárvány «pompa», lituano straubl#7929;s «proboscide (che succhia)», udmurto vujuis «bevitore d’acqua», kuaz vu juem «il tempo ha bevuto l’acqua» ecc. Nei paesi slavi essa è tanto radicata che in diverse lingue slave invece di dire che una persona «beve come una spugna» si dice «beve come l’arcobaleno», per esempio ceco pít jako duha (duha «arcobaleno»). Ora, che la rappresentazione dell’arcobaleno bevitore sia antica è provato dalle sue numerose attestazioni nella letteratura latina. La più antica e importante è quella di Plauto, che fa dire a un personaggio del Curculio [Alinei 1992e] la frase «bibit arcus», cioè «l’arcobaleno sta bevendo», a proposito di una vecchia che per tracannare un boccale di vino si arcua all’indietro. «Vecchia» è anche uno dei nomi neolatini ed europei dell’arcobaleno, è non è escluso che Plauto volesse così giocare anche su questo motivo.
Ma a parte questo, la diffusione del motivo dell’arcobaleno bevitore in tutta Europa dimostra che il Latino non è l’apice dell'albero, bensì uno dei suoi molti rami.
Inoltre, la motivazione lessicale dell’arcobaleno che beve non è che la forma abbreviata di una rappresentazione dell’arcobaleno come animale gigantesco, che beve l’acqua della terra e la restituisce in forma di pioggia, attestata nelle tradizioni popolari di molte aree europee e non europee.
Ecco dunque che non solo l’arcobaleno come bevitore viene ricondotto a una visione primitiva dei fenomeni atmosferici e della natura, ma la stessa rappresentazione zoomorfica generalizzata dell’arcobaleno che appare dalla documentazione dialettale paneuropea si lascia collegare in modo imprevedibile a questo grande mito. Sicché la stessa rappresentazione di Plauto e degli altri autori latini, paradossalmente, appare molto più come un tardo riflesso di questa mitologia primitiva, filtrato dalla cultura razionaleggiante del ceto dominante romano, che non come un archetipo.










ciao
gianluigi
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Forest
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Inserito il - 13 febbraio 2013 : 14:00:04 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Molto, molto interessante, gisus…!

Vedo che hai un'impostazione di queste questioni ed interessi vicinissimi ai miei…!
Appena trovo il tempo, mi leggo senz'altro tutto per bene. Grazie davvero tanto.



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Neto
Moderatore


Città: Dozza
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Biologia Marina

Inserito il - 13 febbraio 2013 : 14:39:08 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di tolomea:
....potrebbe diventare qualcosa tipo "predatore di papere" o similari ...
Non so se il barbagianni si nutra anche di piccolini di papera...


Non entro nel merito dell'origine del nome, mi pare che altri abbiano già detto moltissimo, e li ringrazio Rispondo solo a questa domanda: direi che è possibile, in quanto ho documentato fotograficamente la predazione di un giovane fagiano, e non è certo più piccolo di una giovane papera...

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bimbol
Utente V.I.P.

Città: castello d'argile
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Inserito il - 14 febbraio 2013 : 12:15:11 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Gisus solo una cosa non capisco:
tu dici "Non credo ad una derivazione dal latino barba - gena,, per una serie di motivi:
-il nome latino per il barbagianni c’era bell’ e pronto"

Per me non c'è nulla di strano sul fatto che vi fossero due nomi latini diversi, magari che ne so, faccio un'ipotesi da ignorante e priva di fondamento, il nome Tyto alba era per le persone colte che avevano studiato e invece Barbagena era per chi non aveva una grossa cultura.

Oppure il primo termine è stato "coniato" dagli studiosi, dai naturalisti, dagli etologi o chessoio e il secondo è invece stato dato dal popolo comune.

O ancora, alcuni hanno voluto dare un nomignolo più semplice, più efficace, più "dialettale" se vogliamo ed ecco nascere il termine "barbagena"

Che ne so, l'ho buttata li, ma non ci vedo nulla di strano nella "convivenza" tra i due nomi.





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red backed shrike
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Inserito il - 14 febbraio 2013 : 16:27:17 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
In breve nel 18°secolo Linneo ideò il suo metodo di classificazione tassonomica,la nomenclatura binomiale dove ogni essere vivente è associato
univocamente ad un doppio nome in lingua latina.Il primo relativo al genere,
il secondo alla specie.I generi simili sono poi raggruppati in famiglie,le famiglie affini in ordini,questi a loro volta in classi,le classi in Phyla,
i Phyla in Regni.Perciò Tyto alba è Tyto=Genere,alba=specie.Famiglia Tytonidae,
Ordine Strigiformes,Classe Aves,Regno Animalia.
Ora il nome volgare,cioè il nome nella lingua nazionale,da noi è Barbagianni.
Si chiamasse anche Antoniolosmilzo il nome scientifico che lo identifica universalmente è Tyto alba.Ora l'etimologia,cioè la scienza che studia l'origine e la storia dei nomi è un'altra disciplina.
Per quanto riguarda il Barbagianni,sui testi da me consultati di accademici
letterati ed ornitologi(del passato e del presente) risulta composto da due nomi latini:Bàrba=barba,peli e Gèna=guancia.Per quale motivo è stato dato questo nome? Il disco facciale ,formato anche da penne setolose...ricorda
molto un'anziano dalla barba bianca.Jean le barbe,lo zio Gianni appunto...
Ciao Maurizio



Il dolore è forse ciò che fa più fortemente esprimere gli artisti
-J.F.Millet-

Modificato da - red backed shrike in data 14 febbraio 2013 16:29:53
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gisus
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Prov.: Varese

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Inserito il - 14 febbraio 2013 : 19:21:45 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di bimbol:

Gisus solo una cosa non capisco:
tu dici "Non credo ad una derivazione dal latino barba - gena,, per una serie di motivi:
-il nome latino per il barbagianni c’era bell’ e pronto"


quando parlavo di "nome latino" non intendevo il "nome scientifico" ma proprio il nome comune che veniva usato dai romani , ovvero strix
come pure bubo per altri rapaci notturni; un uso nel latino classico o nel volgare di qualcosa che somigliasse a Barba-gena non risulta.


ciao
gianluigi
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tolomea
Utente Senior

Città: San Donà di Piave (VE)


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Inserito il - 15 febbraio 2013 : 19:46:11 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Messaggio originario di Neto:

Messaggio originario di tolomea:
....potrebbe diventare qualcosa tipo "predatore di papere" o similari ...
Non so se il barbagianni si nutra anche di piccolini di papera...


Non entro nel merito dell'origine del nome, mi pare che altri abbiano già detto moltissimo, e li ringrazio Rispondo solo a questa domanda: direi che è possibile, in quanto ho documentato fotograficamente la predazione di un giovane fagiano, e non è certo più piccolo di una giovane papera...



Davvero?!?
Dai, faccela vedere!



tolomea
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puckie
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Inserito il - 17 novembre 2014 : 07:54:02 Mostra Profilo Apri la Finestra di Tassonomia
Ho cercato in merito al nome napoletano del barbagianni indicato da Nino all''inizio della discussione
Messaggio originario di ninocasola43:

in lingua napoletana è: paparascianno
e ho trovato questi link: papara scianno (cliccate sui nomi blu per aprire i link). Secondo questa ricerca paparascianno potrebbe essere un'espressione dialettale per papara (guardate l'opinione del Rossoni) padre=babbo=prete, ma anche zio in questo caso quindi "guida" con lo stesso significato di barba in veneto e guardate all'inizio di questa discussione:
Messaggio originario di tolomea:

..però penso sarebbe interessante riuscire a saperne un po' di più, perché, ad esempio, il termine "barba" nel V.O. identifica non solo l'eventuale legame di parentela, ma spesso esplicita l'attribuzione della funzione di "guida", caratterizzata da solidarietà e protezione, dovuta all'esperienza e maturità acquisita dal soggetto appunto con la "barba"..

..sul fatto poi che il nome proprio utilizzato sia "gianni" non avrei ipotesi..
Poi cercate sotto scianno l'origine dialettale del cognome scianna.

Quindi il termine in lingua napoletana potrebbe avere lo stesso significato del termine nei dialetti del nord!
Mi verrebbe da dire che le espressioni popolari uniscono l'italia invece di dividerla, ma forse sono troppo affezionato al "mio" zio Gianni!

Siamo adolescenti. Col bisogno di emanciparci dalla natura che è la nostra madre. Quando avremo la maturità per cominciare a occuparci di lei?

Modificato da - puckie in data 17 novembre 2014 08:56:41
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